Le carte segrete
di Sergio Saggese
Gianluca Nicotra era uno che parlava a sussurri e così piano che quando morì, spirando la parola “Amen”, sembrò che non avesse fatto altro in vita sua che mormorare una lunga preghiera.
S’era buttato sotto a un’auto.
Lasciò un diario e un gatto.
Dal gatto i suoi colleghi appresero che gli animali possono pigliare le fisime dei padroni: Felix sussurrava, anziché miagolare. Dal diario, che chiunque, nessuno escluso, può impazzire: Nicotra aveva lasciato scritto d’aver fatto una scoperta inquietante, e cioè che l’antica specchiera della sua camera da letto rifletteva immagini modificate.
Se n’era accorto per caso, una mattina, dopo aver poggiato sul comò alcuni documenti. Aveva notato che lo specchio non rimandava quanto scritto sulle pagine riflesse, ma elaborazioni di quelle stesse in forma letteraria.
Per chiarezza, erano state riportate sul diario entrambe le versioni.
Nicotra dichiarava d’aver preso quella scoperta come un segno. A lui, che aveva sempre avuto il pallino dello scrittore senza possederne le capacità, era sembrata subito un dono.
Usando il comò come scrittoio, s’era messo a scrivere il romanzo della sua vita facendoselo correggere, passo passo, dalla specchiera.
Utilizzava due penne. Di colore diverso. Scriveva la brutta con la biro rossa, la girava verso lo specchio affinché questo la rielaborasse, e riscriveva in bella con quella blu la pagina modificata.
Tra i suoi colleghi non furono risparmiate battute sarcastiche sulle licenze poetiche dello strano “specchio letterato”. Tra l’altro Nicotra aveva scritto che non era un semplice specchio, ma una caminiera, una lastra lucidata con funzione di parafuoco per i camini. Caminiera, secondo lui, appartenuta ad Antonio Fogazzaro. La stessa alla quale il poeta vicentino faceva accenno nell’incipit del suo romanzo Piccolo mondo moderno.
Aveva precisato pure, per chi avesse voluto approfondire, ch’era quella della quale, all’inizio dell’opera, la vecchia marchesa Nene Scremin alza ad uno ad uno, per spolverarli, i candelieri dorati.
Una notte vi si era specchiato e aveva visto alle proprie spalle, all’interno di quello specchio, la figura di un uomo piegato s’uno scrittoio.
Una lampada fioca illuminava le pagine sparse davanti allo sconosciuto dai capelli bianchi. Era proprio lui, a un certo punto l’aveva riconosciuto, era Fogazzaro!
Il Poeta s’era girato e gli aveva sorriso. Ma poi la figura apparsa s’era sfocata, tutto s’era rabbuiato, quello stesso buio aveva ingoiato anche la sua di immagine e Nicotra era scoppiato a piangere, sconfortato improvvisamente da un’immensa tristezza.
Tuttavia aveva continuato nei giorni successivi a studiarla, quella specchiera, a ispezionarla, a tastarla, nella speranza di carpirne qualche segreto, finché lo spettro dello scrittore non aveva preso a parlargli.
Il Poeta, però, muoveva le labbra senza produrre suoni e Nicotra non era riuscito a cogliere nemmeno una parola, fino a quando non aveva avuto l’idea di alitare sullo specchio.
Era comparsa, così, sulla superficie appannata dell’antica specchiera una frase alla quale se n’erano affiancate subito altre, fino a comporre una poesia:
Da che fissai da piccolo lo specchio, sempre reco il grido del suo silenzio addosso.
Ma tosto lo rinnegherei quel grido se mi si reclamasse adesso di toglier dalle memorie quanto d’esso non videro i miei occhi, perché, pur non vedendoli per sempre essi ne patirono i riflessi.
A quanto pare la cosa era cominciata con Nicotra che aveva cercato di servirsi dello specchio, ma era finita con lo specchio che aveva preso il sopravvento servendosi di Nicotra.
La voglia di Fogazzaro di riaccostarsi al mondo era stata più forte del desiderio di Nicotra di allontanarsene.
Nei suoi scritti Nicotra confessava di andare a lavoro, ormai, con niente altro per la testa che il desiderio di rincasare per continuare a scrivere, per sentirsi finalmente alleggerito dell’opprimente peso della tristezza.
Dopo la sua morte, i suoi colleghi se l’erano passati a turno. Leggendo il suo diario, veniva una gran voglia di andare nella sua vecchia casa e mettersi a cercare il suo romanzo stranamente scomparso, ma nessuno ne aveva avuto ancora il coraggio.
Quando il diario capitò nelle mani del collega Minotti da sempre appassionato di occultismo, questi scoprì che in vita lo scrittore vicentino aveva avuto forti interessi spiritisti non sfuggiti, tra l’altro, alla Critica del tempo.
In un suo saggio del 1903, ad esempio, Benedetto Croce aveva affermato che Fogazzaro “riconosceva importanza ai fenomeni della chiaroveggenza e dello spiritismo come segni di futura unione della scienza con la fede”.
Come esperto dell’occulto, Minotti sapeva che fin dai tempi più antichi lo specchio era stato un potente mezzo per contattare spiriti o altre entità, una specie di porta in grado di aprirsi su altre dimensioni, e quindi si concentrò subito sulla caminiera per trovare un’esauriente spiegazione esoterica alla faccenda.
Non a caso, secondo lui, Nicotra aveva sottolineato, a chi avesse voluto approfondire il mistero, che la specchiera aveva dei candelieri. A proposito di quelli, cercando notizie in biblioteca, Minotti aveva scovato s’un libro di Letteratura una foto del Fogazzaro nel suo piccolo studio.
La foto raffigurava il Poeta seduto in pizzo a una poltroncina di fronte al proprio scrittoio nel medesimo atteggiamento descritto da Nicotra.
Su quello stesso scrittoio, dietro a una grossa scatola di legno con orologio e carillon incorporati, troneggiava un enorme specchio con candelabri dorati.
Minotti sapeva che l’uso delle candele è frequentissimo nello spiritismo per percepire quando la fiamma si agita, l’arrivo delle anime evocate. Probabile, pensò, che quella di Fogazzaro fosse stata per l’appunto un’evocazione nella quale l’alito caldo di Nicotra s’era casualmente sostituito alla formula spiritistica di rito. Ma come dimostrarlo?
Inaspettata, la risposta giunse da sé, una sera, con una notizia del telegiornale.
Era il 7 marzo del 2011. Il cronista televisivo annunciò che, in occasione del centenario della morte dello scrittore Antonio Fogazzaro, era stato finalmente aperto lo scatolone con le carte segrete donato da suo nipote alla Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza nei primi anni sessanta.
Lo scatolone conteneva tutti i taccuini e i diari del Poeta e, per disposizioni testamentarie, doveva essere aperto proprio in quella data.
C’era stata, per l’occasione, una lectio magistralis del professor Fabio Finotti, accademico olimpico, sulla figura e l’opera del grande artista vicentino, mentre il soprano Margherita Tomasi aveva eseguito alcuni intermezzi musicali su testi dello scrittore.